tra dare troppo e dare poco forse bisogna imparare a dare bene
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Tra dare troppo e dare poco, forse bisogna imparare a dare bene

pubblicato il:15/11/2022
categoria:Genitori
di:Chiara Colusso

«Quando un genitore dice: “io non ho mai fatto mancare niente a mio figlio” esprime la sua totale idiozia.

Perché il compito di un genitore è di far mancare qualcosa, perché se non ti manca niente a che ti deve servire la curiosità, a che ti serve l’ingegno, a che ti serve il talento, a che ti serve tutto quello che abbiamo in questa scatola magica, non ti serve a niente no? Se sei stato servito e riverito come un piccolo lord rimbecillito su un divano, ti hanno svegliato alle 7 meno un quarto la mattina, ti hanno portato a scuola, ti hanno riportato a casa, ti hanno fatto vedere immancabilmente Maria De Filippi perché non è possibile perdersi una puntata di Uomini e Donne, perché sapete che è un’accusa pedagogicamente brillantissima.

Ma una cosa di buon senso, il coraggio di dire di no? Vedete io me lo ricordo, tanti anni dopo, l’1 in matematica e non mi ricordo le centinaia di volte che mi hanno dato 6, perché il 6 non dice niente, è scialbo, è mediocre. Me lo disse mio padre quando tornai a casa. “Papà ho preso 1 in matematica”.

Pensai che avrebbe scatenato gli inferi, non sapevo cosa sarebbe successo a casa mia. Lui invece mi disse: “fantastico, 4 lo prendono in tanti, invece 1 non l’avevo mai sentito. E quindi hai un talento figliolo”. E poi passava dall’ironia ad essere serio: “Cerca di recuperare entro giugno se no sarà una gran brutta estate”. Fine. Non ne abbiamo più parlato. Perché lui credeva in me. E quando credi in un ragazzo non lo devi aiutare, se è bravo ce la fa.

Perché lo dobbiamo aiutare? Io aiuto una signora di 94 anni ad attraversare la strada, ci mancherebbe altro. Perché devo aiutare uno di 18? Al massimo gli posso dire: “Sei connesso? Ecco, questa è la strada, tanti auguri per la tua vita”.

Si raccomandano le persone in difficoltà, non un figlio. Perché devi raccomandare un figlio? Perché non ce la fa? Che messaggio diamo? Siccome tu non ce la fai, ci pensa papà.

Tante volte ho sentito dire da un genitore: io devo sistemare mio figlio. “Sistemare”. Come un vaso cinese. Dove lo sistemi? Dentro la vetrinetta, sopra l’armadio? Hai messo al mondo un oggetto o hai messo al mondo un’anima? Se hai messo al mondo un’anima non la devi sistemare, l’anima va dove sa andare.

Educare non ha nulla a che fare con la democrazia, dobbiamo comandare noi perché loro sono più piccoli. In uno stagno gli anatroccoli stanno dietro all’anatra. Avete mai visto un’anatra con tutti gli anatroccoli davanti? È impossibile, è contro natura. Perché le anatre sono intelligenti, noi meno.

Un genitore è un istruttore di volo, deve insegnarti a volare. Non è uno che spera che devi restare a casa fino a sessant’anni, così diventi una specie di badante gratis. Questo è egoismo, non c’entra niente con l’amore. L’amore è vederli volare.»

 

Quando ho ascoltato per la prima volta queste parole di Paolo Crepet sono rimasta pietrificata. Quanta verità. Questa folle idea, in un mondo così pieno, di dover dare tutto e di tutto, di dover aiutare i bambini prima e i ragazzi poi a crescere, di dover essere sempre lì pronti a fare qualcosa per loro. Di esserci sempre, rispondere ad ogni loro richiesta magari accontentandoli perché altrimenti potrebbero avere un trauma, potrebbero percepire una mancanza.

Ma veramente così favoriamo il loro naturale e sano sviluppo? Non è che forse il trauma glielo causiamo ad essere presenti e a servirli e riverirli in questo modo un po’ malato?

Attenzione, non sto dicendo che un adulto non debba essere presente.

È una figura di riferimento: che sia un genitore, un insegnante, un nonno, uno zio è giusto che ci sia.

La differenza sta nel come si sceglie di esserci.

Da adulti, prima di tutto, da persone responsabili, che hanno chiarezza di una linea educativa, di cosa serve per crescere bene.

E per crescere bene servono soprattutto i no, più che i .

Servono le regole.

Serve che ci sia una carreggiata entro cui dover stare.

E serve la possibilità di fare esperienza, provare, sbagliare, raddrizzare il tiro.

 

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